Omelia VIII domenica dopo Pentecoste, rito ambrosiano

Attraverso il detto “Date e Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” Gesù cerca di insegnarci che la religione è un fatto di libertà. E che la religione non guarda ai confini degli Stati, non guarda alle barriere. La fede non dipende da diritti di nascita: siccome nasci in un determinato posto, hai una certa religione. La fede è qualcosa che nasce dall’adesione del cuore della persona in quanto tale. E, in quanto tale, la persona dice di sì – o di no – a quello che il Signore dà, comunica di Sé e concede come dono per ciascuno. La fede è sempre questa dinamica di libertà. Se diventa identificazione con una nazione, non funziona più.

 

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Gesù ha rotto lo schema che identifica nazione e religione, schema che caratterizzava fortemente Israele. Israele era una nazione che si considerava “il popolo santo”, a differenza di tutti gli altri.  Gesù e suoi discepoli infrangono questo schema e infatti cominciano ad esserci discepoli che fanno parte di altre nazioni, popoli, culture, razze. Quello che Gesù opera, spezza lo schema dei confini: non ci sono più stranieri, perché tutti sono chiamati a guardare all’unico Signore in quanto uomini e in quanto uomini possono dire di sì o di no a quell’Amore che viene regalato.

Dobbiamo però renderci conto che siamo di fronte ad una problematica piuttosto complessa. E’ vero infatti che Gesù afferma la chiara distinzione tra la realtà religiosa e quella politica, ma distinzione non vuol dire separazione. Invece, sulla base del criterio della distinzione, si è arrivati a sostenere che Stato e Chiesa rappresentano due campi completamente diversi: lo Stato si occupa di fare le leggi e delle cose esteriori e la Chiesa si occupa delle “cose interiori” – come dire che deve limitarsi a pregare e non interferire! Questa non è più distinzione; questa è separazione. E’ stravolgere il senso delle parole di Gesù, tradendo il messaggio evangelico.

Chiunque abbia letto il Vangelo sa benissimo che è un’operazione assolutamente insensata: come fai a dire che il cristianesimo è solo una cosa interiore? Significherebbe che non comporta azioni conseguenti, che non incide sulle scelte che fai, sul modo in cui guardi e giudichi il mondo. Non è possibile! La fede cambia il tuo modo di pensare, il tuo modo di essere. E’ ovvio che entri in relazione con il mondo civile. E’ ovvio che il cristiano deve parlare con il mondo che lo circonda. Un conto è che non si debba identificare con il potere e un conto è che non debba dialogare col potere e cercare di costruire un mondo secondo criteri diversi, che nascono dal Vangelo. Tutto il messaggio evangelico ci  dice di farlo. L’idea di separare è una follia.

 

Eppure tanta gente non solo pensa in astratto questa separazione, ma la applica concretamente. Tiene da una parte la vita pratica, con le attività quotidiane, le leggi del lavoro, il modo di condursi, le scelte politiche, che  porta avanti secondo le regole del mondo, del contesto esteriore. Poi, sempre nella stessa persona, ritaglia un ambito spirituale per la preghiera, la Messa: un’interiorità destinata a rimanere sepolta dentro il cuore.

 

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Immagine: Il tributo, COPLEY John Singleton, 1782, Royal Academy of Arts, Londra.

Omelia VIII domenica dopo Pentecoste, rito ambrosianoultima modifica: 2010-07-24T16:29:00+02:00da fragiampaolo
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