Omelia IX domenica dopo Pentecoste, rito ambrosiano

davide preghiera.jpgLa figura di Davide è davvero bella, molto interessante. Se leggete i testi biblici che raccontano dell’esperienza di vita di questo incredibile re, vi accorgerete che è estremamente ricca e varia. Davide conduce un’esistenza piena di avventura e di colpi di scena, di errori come di elementi positivi: una vita veramente densa.

Il brano che ci viene proposto narra l’episodio iniziale, che orienta tutto il cammino di Davide; è il punto di partenza della sua esperienza, quello che non gli sarà mai tolto.

E’ un momento particolare. Re Saul non è secondo il cuore di Dio – è stato il primo dei re e non risponde, non obbedisce, non ha il cuore giusto – e allora Dio sceglie un altro come re. Ora, il profeta, che deve andare ad ungere il prescelto, ovviamente ragiona secondo criteri normali: al posto di  Saul, che è bello, forte, intelligente, capace, ritiene di dover trovare una persona che sia allo stesso livello! E va in giro cercando uno che rientri in quei parametri: che abbia forza, capacità, potenza, bellezza, fascino. La realtà dei fatti si rivela più complessa. Samuele viene mandato da Dio in un piccolo villaggio, non nella famiglia più ricca del paese. Passa in rassegna tutti i suoi figli e, naturalmente, parte dal più grande e bello: il profeta è convintissimo che sia lui. Ma non è così. Il Signore li rifiuta tutti, uno dopo l’altro. Sembra non ne resti nessuno; il profeta resta quasi “perduto” e chiede se davvero non c’è alcun altro figlio. Così Iesse manda a chiamare il più piccolo. Vuol dire scendere ancora: Samuele è stato mandato in una misera famiglia di un misero villaggio e ha di fronte il minore dei figli. Resta comprensibilmente smarrito di fronte a questa scelta. Ma, nel momento in cui Davide entra in casa, Dio gli dice: “E’ lui! Io guardo il cuore, non l’aspetto esteriore. Tu fidati. Se io voglio prendere il più piccolo di tutti i più piccoli, questo è un affare mio. Lui va bene!”. Il profeta obbedisce e unge Davide. L’unzione era un gesto tipico della consacrazione regale – il Messia significa l’“unto”. Poi Samuele va via.

Passeranno molti anni prima che Davide diventi effettivamente re. E’ un ragazzo e ci vorrà tempo prima che arrivi davvero sul trono. Ma intanto c’è quest’idea di fondo che Dio lo ha scelto gratuitamente, senza suo merito, senza che lui potesse dire: “Mi ha scelto perché sono bravo, bello, intelligente”. Non era ancora possibile dire di lui queste cose. Davide viene scelto perché Dio lo vuole. E quest’idea resterà così profondamente nel cuore di Davide che sarà l’unico vero appiglio nella sua esistenza tutte le volte nelle quali ne combinerà di grosse e sarà tentato di dubitare della propria elezione, di guardare troppo al proprio peccato. Non riuscirà mai a farlo, perché avrà sempre in testa: “Lui mi ha scelto quando io non ero assolutamente niente e nessuno; e mi ha scelto gratuitamente”. Questo punto di partenza fa sempre da àncora al cuore di Davide.

 

Se leggi certe pagine, ti chiedi come è possibile che ci venga proposto come punto di riferimento.  Il fatto è che, al di là dei suoi peccati,  tutte le volte che Dio si è rivolto a lui, Davide ha compreso il suo errore, proprio a partire dalla consapevolezza iniziale che Dio lo ha amato prima di ogni sua azione e continua sempre ad amarlo e la Sua scelta non viene meno.

Così Davide non si è perso dentro il  suo peccato – nell’affermazione di sé o nei sensi di colpa. Ha guardato Lui; ha guardato a quella promessa. E ha cambiato di nuovo la sua vita, mille e mille volte. Perché, nei testi che noi leggiamo, Davide compie errori madornali e poi però ha il coraggio di pentirsi, anche pubblicamente, e di ricominciare il suo cammino. Capace certo di muoversi anche nel mondo del male, ma sempre poi in grado di voltare di nuovo lo sguardo verso ciò che è essenziale, di rimettersi a guardare il Signore, di tornare ad essere discepolo.

In questo ci insegna tanto. In questo il re Davide è un grande modello. Non per i peccati – è un campo in cui non abbiamo bisogno di insegnamenti –, ma per la capacità di non perdersi nel proprio peccato, di riconoscerlo e guardarlo in faccia, senza far finta che non sia tale, magari perché fanno tutti così. Davide non ha mai negato il proprio peccato. Nel momento in cui gli hanno fatto vedere il suo peccato, lo ha riconosciuto. Ma non si è smarrito nei sensi di colpa che cominciano a farti girare sempre su di te, a tornare sempre su ciò che hai fatto, sul tuo errore – in realtà è solo perfezionismo frustrato, un continuare a guardare a se stesso. Ogni volta è stato beccato da Dio e subito è  uscito da sé e ha guardato Lui e ha detto: “Va bene, Signore, adesso fai tu, perdonami e fammi tornare”.

 

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Immagine: Davide in preghiera, Jean Colombe, Les Très Riches Heures du Duc de Berry

Omelia IX domenica dopo Pentecoste, rito ambrosianoultima modifica: 2010-07-27T18:02:51+02:00da fragiampaolo
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