Omelia VII domenica di Pasqua, rito ambrosiano

abbraccio Pietro e Paolo.JPGPer qualche misterioso motivo, l’annuncio della unità, del grande dono che il Signore fa nell’ultimo tratto del Suo cammino terreno – il brano evangelico di Giovanni è tratto dal capitolo 17, cioè dal discorso dell’addio –, è percepito più come un peso che come un regalo. L’immagine che ne abbiamo, in genere non ci riempie di entusiasmo: dobbiamo considerarci tutti fratelli e sorelle e dunque ci tocca occuparci degli altri, sforzarci di essere una comunità con gente che non ci sembra poi così meravigliosa.

Da una parte il nostro cuore desidera davvero l’unità, perché ci rendiamo conto che quando siamo da soli non stiamo bene; la solitudine è una delle grandi sofferenze che distruggono la nostra vita. Eppure, nello stesso tempo, in noi agisce anche un’altra forza, che ci manda nella direzione opposta, che ci fa costruire distruggendo le relazioni, ci fa allontanare gli uni dagli altri. Queste due tensioni si contrastano continuamente.

Il dono che il Signore ci consegna dovrebbe servirci per orientare le nostre energie dalla parte buona, quella appunto dell’essere uniti, del costruire insieme, del ritrovare nell’unità una dimensione grande e preziosa, che ci permette di respirare in modo pieno.

 

Ciascuno di noi, invece, vive isolato, diviso. Ciascuno coltiva il proprio interesse, ha la sua famigliola,  le sue occupazioni. Certo, se hai la famiglia ci devi pensare. Il problema è quando pensi solo a questo. Quando attorno a te costruisci una barriera e non riconosci l’unità come un dono, ma come un fardello o addirittura una minaccia, che viene a violare la tua vita, a scardinare il tuo ordine. E’ un atteggiamento che succede spesso di assumere.

C’è un’immagine molto chiara di quanto avviene a livello di cuore e di mente: guardate quello che accade a livello di porte! Quando si gira per le benedizioni delle case serve un sacco di tempo per aspettare che si aprano le porte dopo aver suonato: ci sono serrature e catenacci sotto, sopra, a metà porta. Difendersi va bene, naturalmente. Eppure qualche volta alcuni nostri comportamenti esteriori manifestano un atteggiamento interiore del cuore, o magari finiscono per provocarlo. E ti rendi conto che anche il cuore è chiuso a molte mandate rispetto al dono dell’unità.

 

Noi abbiamo bisogno di scoprire una realtà diversa. Pensate – sia pure con un po’ di fatica dopo la tanta pioggia di questi giorni – all’immagine di un terreno terribilmente arido. Come quando d’estate c’è un caldo  pazzesco e la terra si crepa, diventa dura come il marmo, non ci cresce più niente e si creano tutte quelle spaccature. Ecco, noi qualche volta nel nostro mondo – e disgraziatamente anche nelle comunità cristiane – viviamo così, come se fossimo ciascuno sul nostro lembo di terra riarsa, con le voragini attorno, senza contatto con chi sta a fianco.

Nel momento in cui lo Spirito del Signore scende su di noi, invece,  accade come quando arriva l’acqua: il terreno si gonfia, diventa diverso, i crepacci si colmano e torna unito, non è più sterile; diventa un terreno dove germoglia qualcosa, dove cresce qualcosa di nuovo.

Ecco: l’azione della grazia del Signore su di noi è analoga a quella dell’acqua sul terreno arido. Lui scende su di noi e crea una cosa nuova; crea la possibilità di incontrare l’altro non su un terreno strano, lontano, saltando i crepacci, ma semplicemente perché l’altro diventa un terreno solo con te. Il grande dono che ci è stato fatto è questo e noi ci pensiamo così poco.

 

Leggi tutto: VII di Pasqua – dopo Ascensione.doc

 

Leggi l’omelia per la messa della prima comunione sullo stesso tema: Prime Comunioni 2010.doc

 

Immagine: abbraccio dei santi Pietro e Paolo, mosaici di Monreale.

Omelia VII domenica di Pasqua, rito ambrosianoultima modifica: 2010-05-24T12:18:37+02:00da fragiampaolo
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