Omelia I domenica di Avvento – rito ambrosiano – anno C

Folio_34r_-_The_Last_Judgement.jpgLe letture che ci vengono donate, in questa prima Domenica di Avvento, non sono certo leggere. Premetto subito che, per interpretarle nella luce giusta, è bene tenere in considerazione il punto d’arrivo di queste letture, che in realtà sono collocate all’inizio del tempo di Avvento in modo quasi paradossale. L’obiettivo infatti non è suscitare ansia, ma risvegliare la speranza. Il vero messaggio che vogliono dare è: “Guardate: succederà di tutto, ma voi tenete fisso lo sguardo sull’unica cosa indispensabile, su Cristo. E, quando farete così, vi accorgerete che, qualunque cosa accada attorno a voi, a voi non succederà niente, nella profondità di ciò che siete, perché avrete un punto stabile. Resterà solo Cristo. Tutto il resto scomparirà. Quindi, sperate!”.

Il cammino dell’Avvento è questo tempo che ci ricorda la venuta del Signore. La Sua prima venuta – nel ricordo e poi nella memoria liturgica – ma, ancora più profondamente, il ritorno del Signore alla fine dei tempi, che ci dice: “Sperate! Non abbiate paura! Attraversate ogni situazione di questo mondo tenendo fisso lo sguardo su di Lui. E vi accorgerete che alla fine sarà l’unica cosa che tutti guarderanno: il Suo sguardo”.

Ora, questo è l’obiettivo essenziale da mettere a fuoco per dare la giusta interpretazione al cammino del tempo dell’Avvento, che la Liturgia ci fa iniziare attraverso queste letture.

 

Facciamo però un passo indietro. Non possiamo infatti tacere che, anche se in fondo mirano a darci speranza, le letture ci parlano diffusamente di una terribile paura. E’ un aspetto su cui bisogna ogni tanto puntare gli occhi, per capire da che cosa dipende il terrore, che attraversa tanto la  pagina di Vangelo – fino a dire che gli uomini moriranno per la paura”  quanto la prima lettura, che evoca una devastazione globale – in cui “ogni cuore d’uomo viene meno”.

La paura, di cui si parla, si articola su  diversi livelli.

Il primo è la paura della morte e quindi della dissoluzione di ciò che noi siamo come persone.

Il secondo è la paura della “fine del mondo”: un terrore atavico che – non so bene perché – nell’uomo è ancora più forte di quello della morte, anche se riguarda una prospettiva che dovrebbe apparire  più lontana. Il filone “apocalittico”, nella letteratura come nella filmografia, testimonia la profondità di questa paura di una distruzione generale, che è sempre presente nell’essere umano. Di fronte alla morte individuale si può pensare infatti che resti qualcosa di sé, nei figli, in ciò che si è costruito. Invece, la fine del mondo ci conduce a ritenere che tutto quello che abbiamo fatto finisce: in  questo senso è ancora più radicale della morte stessa.

 

Ma in queste letture c’è una terza paura, che riguarda solo i credenti. E’ la paura del giudizio – chiariremo il senso del  termine “paura”.  Perché non succede solo un cataclisma universale. Arriva Lui. E giudica. Quando noi diciamo “il ritorno del Signore”, noi evochiamo il giorno del giudizio. Che non è la distruzione di tutto; è…

 

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Immagine: Giudizio universale, miniatura tratta da Les Très Riches Heures du duc de Berry, Museo Condé, Chantilly.

Omelia I domenica di Avvento – rito ambrosiano – anno Cultima modifica: 2009-11-21T18:11:49+01:00da fragiampaolo
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