Omelia IV domenica di Pasqua, rito ambrosiano, anno B

pastor1.gifQuando nella Scrittura si usa una similitudine, questa va considerata solo riguardo a quei determinati aspetti che intende rendere evidenti. E’ necessario tener presente questa considerazione, nel rileggere il brano del Vangelo che caratterizza questa domenica: perché purtroppo, nella nostra cultura, l’idea della “pecora” non è del tutto positiva. Di solito, infatti, ricorriamo all’immagine della “pecora” per identificare persone caratterizzate da una forma di grettezza, che si fanno manovrare e portare in una certa direzione, d’orizzonte limitato, incapaci di decisione autonoma. In genere, quando usiamo quest’espressione fuori dell’ambito liturgico, non risplende di luce propria. E’ un termine in realtà molto a rischio, tanto che è usato spesso in senso dispregiativo da chi non condivide il percorso dei credenti. Da tali detrattori, i credenti vengono definiti “pecore” per dire che sono persone incapaci di decisione autonoma, intruppate.  Quelli che sono a capo della Chiesa, si fanno chiamare “pastori”, dimostrando sete di potere, di dominio;   perché il pastore è quello che notoriamente munge, tosa e, quando ha fame, uccide le pecore per mangiarle: questa è l’idea di fondo che attraversa moltissime persone, quando si parla di pecore e di pastori.

Gesù parla in un contesto culturale profondamente differente e sa che le persone che ha di fronte sono ben in grado di capirlo. Il nostro problema è molto semplice: noi abbiamo una mentalità da consumatori e, quando pensiamo alle pecore, le vediamo già fatte a pezzi sul banco del macellaio. Chi di noi ha provato ad allevare, nutrire e curare delle pecore? Gesù, invece, si sta rivolgendo ad un popolo di pastori

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Immagine: Il “BUON PASTORE”, Ravenna, IV secolo

Omelia IV domenica di Pasqua, rito ambrosiano, anno Bultima modifica: 2009-05-08T21:35:03+02:00da fragiampaolo
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