Omelia di Pasqua 2010, messa del giorno

Tintoretto;_Noli_me_tangere.jpgNoi – più di quanti hanno vissuto in altre epoche storiche – viviamo una difficoltà di fronte all’annuncio grande e straordinario che Cristo è risorto: “Ho visto il Signore!”. La difficoltà è data dal fatto che noi viviamo in una cultura dove ciascuno si sente un individuo isolato rispetto agli altri e sostanzialmente nutriamo la convinzione che quello che siamo, e spesso anche quello che facciamo, non ha nessuna conseguenza sugli altri, non li tocca. E’ un problema grave per noi, perché, a partire da questa mentalità, diffusa al punto da apparire normale, di fronte al fatto che Cristo è risorto uno dice: “Sì: è un evento bello; però è successo a Lui, non a me”. Una simile visione ci impedisce di capire che c’è qualcosa di più profondo, che lega quest’annuncio con la vita di ciascuno di noi. Al di là del fatto che si tratta, in ogni caso, di un annuncio davvero bello: se sai che qualcuno che ami – almeno che stimi – è risorto, dovresti essere pieno di gioia, anche se non fossi direttamente coinvolto. Invece, noi arriviamo alla mattina di Pasqua e sentiamo “Alleluia” e l’annuncio “Cristo è risorto”, “Ho visto il Signore!”, che la Liturgia continuamente ci ripete, e i fedeli restano tutti con l’occhio a mezz’asta, con l’aria di dire: “Sì, l’ho già sentita questa; la so già”.

Cristo è risorto! E’ un evento presente. Cristo è vivo, adesso. E’ il Vivente. Noi dobbiamo rifare quel percorso che ha stupito i primi cristiani e che deve prendere il cuore anche a noi e ci deve far superare questa mentalità individualista ed apatica.

Che cosa è successo nel primissimo periodo dell’annuncio cristiano? Il punto di partenza è che gli Apostoli hanno visto il Signore risorto. E anche molti discepoli hanno visto il Signore. La seconda lettura ci testimoniava che l’esperienza dell’incontro col Risorto non ha riguardato solo poche persone: “In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta”. Tuttavia queste persone, pur vedendo,  hanno tutte dovuto credere. Se avete fatto caso, nel brano del Vangelo, si ripete due volte che Maria si voltò”. Il primo “si voltò” è riferito ad un’azione fisica. Maria sta parlando con i due uomini – che in realtà sono angeli – che le stanno di fronte; arriva Gesù e lei si gira verso di Lui. Ma poi, quando Gesù la chiama: “Maria!”, il testo dice che Maria si volta di nuovo. Ora, siccome non è pensabile che abbia girato le spalle a Gesù, ovviamente questo secondo “si voltò” va inteso nel senso di “cambiò”, “si convertì”. Vuol dire che di fronte al Signore, pur vedendolo, ha dovuto credere. E così è stato per tutti gli Apostoli. Se voi leggete i racconti delle apparizioni, di solito quando i discepoli vedono Gesù hanno una specie di blocco – come se dicessero: “Ma no, non è possibile!” – e non credono immediatamente. Anzi, in uno dei brani che la Liturgia ci offre nei prossimi giorni, si racconta di Gesù che appare ai discepoli e comincia a parlare con loro, e “alcuni dubitavano”. Hanno dovuto credere. Hanno dovuto fare questo passaggio dal vedere al credere.

Quando poi gli Apostoli vanno da qualcuno che non ha visto Gesù e dicono: “Ho visto il Signore. Il Signore è risorto!”, probabilmente sono loro i primi ad essere sorpresi  dall’esito dell’annuncio. Hanno di fronte  persone che, in molti casi, non hanno mai nemmeno sentito parlare di Gesù – perché…

 

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Immagine: Noli me tangere, Tintoretto

Omelia di Pasqua 2010, messa del giornoultima modifica: 2010-04-14T10:57:37+02:00da fragiampaolo
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