Parrocchia sant'Antonio di Padova alla Brunella, Varese

Omelia Pentecoste

Quello che noi viviamo, attraverso la realtà e il dono dello Spirito, è una realtà di unità: noi siamo uniti nell’unica fede nel Signore Risorto, Figlio amato dall’eternità dal Padre, uno con il Padre, uno con lo Spirito.

 

Ora, questa realtà dell’unità, da un certo punto di vista, è guardata con una certa nostalgia; ma quello che prevale non è il rimpianto del passato, né la conseguente ricerca; quanto invece un certo sospetto.

Anzitutto, quando si pensa all’unità, molti ritengono si tratti di una cosa che in fondo non va tanto bene, perché massifica tutti, fa diventare tutti uguali, porta tutti a fare le stesse cose, non permette più la libertà del pensiero, non ti permette più di muoverti liberamente. Si confondono l’unità e l’uniformità.

In secondo luogo finché riguarda qualcun altro l’unità è valutata come un realtà buona; ma quando siamo noi a doverla costruire, emergono una serie di obiezioni a questo discorso dell’unità. Perché in realtà noi viviamo nel mito di un “essere se stessi”, che si identifica con un “pensare a se stessi”. Quando uno è veramente se stesso, secondo il modo di pensare normale? Quando “si fa gli affari suoi”, quando fa una cosa che gli piace, lo gratifica totalmente, quando è tutto rivolto “dentro di sé”. Questa visione è opposta all’unità; l’unità ti chiede di uscire da te. Invece, noi viviamo in questo mondo, un po’ strano, dove l’idea di uscire da sé non la percepiamo come una cosa buona. Ma c’è di più: in qualche modo noi viviamo secondo un criterio – che sta attorno a noi, ma che, a ben vedere, sta anche dentro a noi -, per il quale una persona si costruisce sulle differenze rispetto agli altri. Che cosa mi fa essere me stesso? Ciò che ho solo io e gli altri non hanno! Potrebbe sembrare; in realtà è già sbagliata l’affermazione generale: io sono me stesso anche per le cose che ho in comune con gli altri. Voglio dire: perché il “me stesso” dovrebbe riguardare solo quel pezzo di me che non ha nessun altro? “Me stesso” è anche qualcosa che abbiamo in comune tutti: siamo liberi e non è una cosa che riguarda solo me; riguarda tutti, però fa parte della mia persona, definisce chi sono, mi fa capire chi sono.

Non basta: dentro questo modo di vedere, per cui è la differenza quella che conta, si inserisce un’idea che è proprio strana, è proprio malata. Il fatto che essere veri, essere se stessi vuol dire che ciascuno va dove gli pare, senza nemmeno decidere una direzione, e fa ciò che gli viene in mente in quel momento. L’idea di libertà è questa; l’idea di persona riuscita è questa: uno che si muove liberamente in ogni direzione che il cuore, la testa o qualche altra parte del corpo gli suggeriscono. Questa è l’idea di fondo, ed è una follia, ovviamente, perché si diventa solitudini che non si incontrano mai. Qualche volta capita di incontrarsi, perché per caso due decidono di andare in una direzione nello stesso momento, ma non dura: alla prima occasione ciascuno va per la sua strada. Questo modo di pensare è ovvio che ci fa guardare all’unità come ad un rischio, ad un pericolo, come ad una minaccia. Perché pensare di essere uniti vuol dire non poter più fare sempre quello che ci pare. Vorrebbe dire, secondo questa folle idea, non poter più essere se stessi.

 

Quello che noi viviamo, invece, nella celebrazione Eucaristica, nella vita della Chiesa, è una unità diversa. E’ una unità che non massifica, rendendo tutti uguali…

 

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Immagine: Pentecoste, Les Très Riches Heures du duc de Berry, Folio 79r, Musée Condé, Chantilly.

 

 

Omelia Pentecosteultima modifica: 2009-06-05T12:08:00+02:00da
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